ASSOCIAZIONE di VOL.RIATO
senza fini di lucro
Iscrizione n. LC 33/2004
Sezione: B) Civile
Provvedimento n. 35
Regione Lombardia

SEDE di 23900 LECCO
Via XI Febbraio, n° 1
Tel. n° 0341 35 05 49
Cell. 333 466 24 30
csanfilippo.presidente@tridipudi.it
sito web: www.tridipudi.it

IL PRESIDENTE


OGGETTO: Analisi e commento dell’art. 180, comma 8°, del Codice della Strada in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n° 27 del 12.05.2005.

La Corte Costituzionale, con decisione del 12 gennaio 2005, depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2005 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del Codice della strada, nella parte in cui dispone che: «nel caso di mancata identificazione di questi (n.d.r. il conducente), la segnalazione deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla richiesta, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione», anziché «nel caso di mancata identificazione di questi, il proprietario del veicolo, entro trenta giorni dalla richiesta, deve fornire, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione»;

Praticamente, il citato articolo è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui assoggettava il proprietario del veicolo alla decurtazione dei punti della patente quando ometteva di comunicare all’Autorità amministrativa procedente le generalità del conducente che avesse commesso l’infrazione alle regole della circolazione stradale. 

Ma la Consulta non si è fermata qui, posto che con la congiunzione “anziché” ha proseguito nella sua decisione e si è sostituita al legislatore modificandone il testo legislativo come segue: «nel caso di mancata identificazione di questi (n.d.r. il conducente), il proprietario del veicolo, entro trenta giorni dalla richiesta, deve fornire, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione».

Ci troviamo di fronte ad una sentenza c.d. interpretativa sostitutiva, nella quale la Consulta ha sostituito ad una parte del testo, che, nei suoi termini letterali, ne implicava l’illegittimità costituzionale, un’altra parte da essa stessa formulata in via di interpretazione.

Anche se la Corte non è organo legislativo, non è infrequente che colle sue sentenze c.d. interpretative aggiunga delle norme nuove a quelle vigenti nel nostro ordinamento (venendo così, nel fatto, ad esplicare delle funzioni di natura legislativa), nell’intento di non creare – se possibile – pericolosi vuoti nel sistema normativo italiano, data la frequente inerzia delle Camere nel legiferare ed in considerazione che la sentenza di illegittimità costituzionale determina l’inefficacia erga omnes della legge presa in esame dal giorno successivo a quello della pubblicazione della decisione.
Plauso, quindi, alla Consulta quando evita i pericolosi vuoti nel sistema normativo, ma che dire quando invece la sentenza interpretativa sostitutiva viene a complicare ulteriormente la situazione con un dettato legislativo abnorme e fuori da ogni logica ?

La Corte, infatti, prosegue nella propria decisione ritenendo che “ L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180, comma 8, del codice della strada. 

In tal modo viene anche fugato il dubbio in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente. “ 
Ed è proprio il principio di ragionevolezza che nella odierna decisione viene violato. 
Una sentenza che, dovendosi pronunciare sulla possibile bocciatura di un sistema per diverse ragioni iniquo, lo ha modificato, rendendolo peggiore, e per giunta in palese contrasto con le linee guida che il Ministero dell’Interno ha dettato la scorsa estate con alcune note e circolari.

Per chi non lo sa ancora, ma lo apprenderà alla prima occasione in cui non potrà fornire i dati personali e della patente del conducente, l’art. 180, comma 8°, del Codice della Strada sancisce che “ chiunque senza giustificato motivo non ottempera all’invito (…) per fornire informazioni (…) ai fini dell’accertamento delle violazioni (…), è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 357 a € 1.433 “.
Non v’è chi non veda che mentre il legislatore dell’art. 180 C.d.S. concede qualche via di scampo al proprietario con la dizione letterale “senza giustificato motivo per fornire informazioni ai fini dell’accertamento ” la Consulta va oltre e precisa inesorabilmente che “ nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180, comma 8, del codice della strada.” In pratica, mentre il legislatore ordinario riconosceva al proprietario un giustificato motivo nel non fornire, si badi bene, le informazioni, la Consulta invece non ammette giustificazioni di sorta, nella misura in cui obbliga il proprietario a comunicare i dati personali e della patente del conducente, pena la sanzione pecuniaria (€ 357) che appare non meno pesante della decurtazione dei punti dalla patente.

Se da un lato quindi la Corte ha eliminato l’ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, che venivano discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse fossero munite o meno di patente, dall’altro lato ha risolto il problema assoggettandoli tutti al pagamento della sanzione prevista dall’art. 180 del C.d.S., di guisa che a beneficiarne non è tanto la sicurezza nella circolazione stradale ma speriamo che almeno ne tragga vantaggio l’ Erario. 

E’ veramente singolare che l’assunto della Consulta, che decide a tutela del principio di ragionevolezza, si rivela irragionevole, privo di senso logico, assurdo e di impossibile attuazione, posto che il proprietario sarà sempre in grado di indicare soltanto il soggetto cui ha dato in custodia temporanea il proprio veicolo, ma, poiché non ha il dono dell’ubiquità, non potrà mai essere in grado di indicare il nominativo del conducente senza incorrere nelle sanzioni penali di cui all’art. 76 D.P.R. n. 445/2000 (false attestazioni), dal momento che colui al quale ha dato in uso il veicolo potrebbe in qualsiasi momento averlo fatto guidare ad altra persona. 

“Ad impossibìlia nemo tenetur”. 

E che dire se il proprietario di un veicolo lo ha dato in prestito ad un amico che ha affrontato un viaggio con altri quattro amici da Milano a Palermo e costoro si sono alternati alla guida senza ricordarsi in quale stazione di servizio si sono dati il cambio? Non par dubbio che, nel caso di specie, nessuno, nella presunzione di essere incolpevole, vorrà assoggettarsi alla decurtazione di 10 punti dalla patente di guida. 

Ne consegue che, alla luce della odierna decisione costituzionale, da oggi in poi il proprietario che non comunica i dati personali e della patente del conducente, cosa ben diversa dal non fornire informazioni senza giustificato motivo, non viene più decurtato dei punti dalla patente di guida ma assoggettato alla sanzione amministrativa del pagamento di € 357 più le spese di notifica. Sarebbe stato logico statuire che il proprietario deve fornire i dati della persona alla quale ha ceduto il veicolo in custodia temporanea e non (cosa impossibile fondata su mera presunzione) i dati del conducente al momento della commessa violazione. 

Quindi la norma novellata dalla Consulta, che, a quanto pare, non vuole rinunciare a conoscere ad ogni costo l’identità del trasgressore, ha sostituito l’alternativa della decurtazione dei punti sulla patente in danno del proprietario (sanzione di carattere schiettamente personale e quindi incostituzionale), con l’alternativa della sanzione patrimoniale, ancor più illegittima ma resa costituzionalmente legittima dalla odierna decisione della Corte.

Ora, poiché la Consulta da un lato afferma che il proprietario del veicolo, entro trenta giorni dalla richiesta, deve fornire, all’organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione e dall’altro lato sancisce che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180, comma 8, del codice della strada, c’è da augurarsi che qualche Giudice di Pace coraggioso risolva il problema dell’applicazione del citato art. 180 nella parte in cui prevede l’esimente del giustificato motivo. 

E viene alla luce il presente ragionamento. Premesso che le norme di comportamento del C.d.S. sono già punite con sanzioni pecuniarie alquanto pesanti, se il proprietario di un veicolo, già assoggettato al pagamento di € 357 per violazione dell’art. 142/9 del C.d.S. (velocità), non ricorda e, quindi, non è in grado di fornire i dati del conducente, può essere costretto al pagamento di altri 357 euro per farsi tornare la memoria?

E, si badi bene, per un proprietario che vive di un modesto stipendio non par dubbio che un ulteriore pagamento di € 357 per una violazione peraltro da lui non commessa, rappresenti un danno che si ripercuote su tutti i componenti la famiglia. Non solo, ma dal momento che è incostituzionale la sanzione di carattere schiettamente personale a carico del proprietario presunto incolpevole, perché, quindi, renderlo colpevole ad ogni costo, aggravando la sua posizione con una sanzione patrimoniale?

Ora, un siffatto irragionevole pronunciamento della Consulta incontra certamente il plauso di chi si trova a vivere felicemente senza problemi economici; costui potrà d’ora in avanti andare tranquillamente a 200 km/h con la propria “Ferrari” senza mai fornire il nome del conducente, basta pagare ogni volta 357 € in più rispetto alla originaria infrazione. 
Che dire invece di colui che adopera il veicolo per andare a lavorare e per il quale 357 € sono mediamente 1/3 dello stipendio che gli consente di arrivare a fine mese? Costui dovrà scegliere: o la decurtazione dei punti o pagare 357 €, dal momento che tertium non datur. 

Evviva il principio di uguaglianza, che quando viene violato proprio dalla Corte Costituzionale è veramente troppo e lascia addirittura inorriditi. 

E mentre la velocità rimane un privilegio dei ricchi, la Consulta non esclude però l’intervento del legislatore laddove recita che “ Resta, tuttavia, ferma – ovviamente – la possibilità per il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, di conferire alla materia un nuovo e diverso assetto.” 
A questo punto occorre argomentare sulla convenienza che avrebbe il legislatore a conferire alla materia un nuovo e diverso assetto. Se il legislatore ha interesse a mantenere in vigore la sanzione pecuniaria, allora quella possibilità di conferire alla materia un nuovo e diverso assetto appare recondita se non lettera morta (potrebbe rivelarsi una conveniente politica legislativa) e la velocità sarà solo un privilegio dei ricchi. Se, viceversa, al legislatore sta veramente a cuore il problema della sicurezza nella circolazione stradale dovrà legiferare in modo da rinunciare a qualsiasi pretesa punitiva a carico del proprietario, ove non sia stato possibile identificare il conducente, fatto salvo il principio di solidarietà ex art. 196 C.d.S., e conferire alla materia un diverso assetto che affondi le proprie radici nell’istituto giuridico della contestazione immediata. 
Infatti, il problema viene da molto lontano e sottende aspetti alquanto inquietanti, posto che il legislatore non è mai riuscito a risolvere l’annosa questione dell’art. 200, 1° comma, del Codice della Strada, il quale recita che “la violazione, quando è possibile, deve essere immediatamente contestata al trasgressore”.

Sull’inciso “quando è possibile” si è formata copiosa giurisprudenza di tendenze talvolta diametralmente opposte tanto da indurre spesso i giudici di merito ad ignorarla. Si è arrivati persino a sentire qualche giudice di pace che egli è soggetto soltanto alla legge e non alla giurisprudenza, come se quest’ultima non fosse il frutto della soggezione alla legge da parte di giudici decisamente più ben vestiti (rectius togati) di lui.
Prima delle ultime modifiche ed integrazioni al codice della strada, in ordine alla contestazione immediata in materia di velocità accertata con l’impiego dei dispositivi di controllo, si era arrivati ad un punto della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che era sembrato soddisfacente e persino ragionevole.
Recentemente poi la Corte di Cassazione ( Sezione Terza Civile n. 10107 del 2 agosto 2000, Pres. Sommella , Rel. Trifone), osservando che l’apparecchio autovelox consente, se è dotato di monitor, di rilevare l’eccesso di velocità a distanza in anticipo rispetto al passaggio del veicolo alla postazione di controllo, aveva affermato che è sempre possibile fermare il trasgressore inseguendolo a mezzo di pattuglia appostata successivamente, a distanza da quella sita nei pressi dell’apparecchio e ad essa collegata con ricetrasmittente. 

Poi è intervenuto il decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121 (Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione stradale), convertito nella legge 1° agosto 2002, n. 168, che ha previsto che sulle autostrade, sulle strade extraurbane principali, nonché sulle altre strade, individuate con apposito decreto dal prefetto, gli organi di polizia stradale, possono impiegare od installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento stabilite dall'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (velocità). Nelle ipotesi in cui vengono utilizzati i mezzi tecnici o i dispositivi non vi è l’obbligo di contestazione immediata di cui all’art. 200 del C.d.S.
Da qui, sia pure con il sano proposito di garantire la sicurezza nella circolazione stradale, l’incremento degli accertamenti di illeciti in materia di velocità con la reclame televisiva della diminuzione del numero di incidenti con morti e feriti sulle strade, senza contare però cosa ha prodotto tale innovazione normativa nelle casse dello Stato (La sicurezza non ha prezzo!). 
Chi scrive, in questo momento, ha tra le mani due verbali di una medesima Sezione di Polizia Stradale, entrambi elevati sulla medesima strada, località, senso di carreggiata e chilometro, dalla medesima pattuglia formata dai medesimi soggetti, entrambi i verbali elevati per violazione dell’art. 142/9 (€ 343,35 + 10 punti di decurtazione e sospensione della patente), riportanti i numeri progressivi la cui differenza è di 2.633 verbali, rilevati, il primo in data 12.08.2004 ed il secondo in data 06.09.2004, tanto da indurre a presumere che la stessa pattuglia in quella medesima località, nell’arco temporale di 25 giorni, abbia elevato n. 2.633 verbali con un introito nelle casse dello Stato di € 929.449 pari a circa due miliardi di vecchie lire. Ed ecco l’equazione: se in 25 giorni una sola Sezione della Polstrada porta un milione di euro nelle casse dello Stato, quanti milioni di euro portano nelle casse dello Stato tutte le altre Sezioni della Polstrada, Carabinieri, Guardie di Finanza e Polizie Locali in tutto il territorio nazionale?

La domanda è la seguente: Il legislatore ha interesse a depauperare le finanze dello Stato inseguendo e fermando il trasgressore a mezzo di pattuglia appostata successivamente, a distanza da quella sita nei pressi dell’apparecchio e ad essa collegata con ricetrasmittente, o ha interesse piuttosto a raddoppiare gli introiti, già abbastanza cospicui, con l’introduzione della sanzione prevista dall’art 180, comma 8, C.d.S (pagamento di una somma da euro 357 a euro 1433) a carico del proprietario che non ricorda? Ad avviso di chi scrive, l’unico interesse preponderante dovrebbe essere quello della sicurezza nelle strade e non si comprende come tale interesse possa essere perseguito con la sentenza che qui si discute. Considerato, poi, che oggi l’autovettura è indispensabile al punto che in una famiglia ce n’è una per ogni componente adulto e, quindi, rappresenta un articolo di largo e generale consumo, proprio in questo momento storico la seconda ipotesi, quella di raddoppiare gli introiti con l’art. 180, introdotta dalla Consulta, non appare certamente in sintonia con la diminuzione delle tasse che vede impegnato il nostro Governo.

La stampa più prestigiosa (Italia Oggi del 25, 26 e 29 /01/2005 e dell’8 febbraio 2005) e la circolare N. 300/A/1/41236/109/16/1 del 4 febbraio 2005 del Ministero dell’Interno si sono correttamente preoccupate di dare le opportune indicazioni circa le modifiche normative introdotte dalla sentenza della Corte Costituzionale n 27/2005 con particolare riguardo al problema sentito fortemente dall’opinione pubblica, ossia quello della decurtazione dei punti dalla patente nonché quello della retroattività degli effetti dell’art. 126 bis, comma 2, del codice della strada testè novellato. Altri commentatori hanno minimizzato il problema dell’applicazione dell’art. 180 a carico del proprietario. Molti utenti, ai quali è stato fatto rilevare che la mancata decurtazione dei punti sottende la sanzione pecuniaria di € 357, hanno risposto che il denaro non ha importanza, quello che importa è salvare la patente di guida.
Il ministero dell’Interno, con la circolare N. 300/A/1/41236/109/16/1 del 4 febbraio 2005 si è limitato ad informare pedissequamente gli organi periferici senza alcuna nota critica (e come poteva!) della decisione della Consulta con qualche precisazione che lascia spazio a sua volta a qualche quesito.

Ad esempio, laddove al punto 3. (Effetti della sentenza sulle procedure pendenti relative ad illeciti già accertati) la circolare recita: “Per tutti questi procedimenti, perciò, dalla data di pubblicazione della citata sentenza, non dovranno più essere effettuate le comunicazioni relative alle violazioni per le quali il conducente non sia stato compiutamente identificato”, è chiaro che si riferisce alla decurtazione dei punti dalla patente ma nulla invece dice della violazione dell’art. 180 C.d.S ai fini della sanzione pecuniaria non potuta notificare entro i 150 giorni. Sembra proprio che l’aspetto sanzionatorio pecuniario aggravato dalla decisione della Consulta al momento non interessa proprio a nessuno.

Altro esempio, laddove al punto 4.1 (Modifiche alla circolare n. 300/A/1/ 44248/ 109/16/1 del 12 agosto 2003) la circolare recita: “In questi casi, il verbale di contestazione verrà notificato al proprietario del veicolo, con l’invito a far conoscere, entro 30 giorni dalla notificazione, l’identità del conducente, al quale il verbale di contestazione sarà successivamente notificato” ciò sottende che l’azione sanzionatoria viene trasferita in capo al conducente indicato dal proprietario. Ma quid juris se il conducente dimostra che nelle circostanze di tempo e di luogo riportate nel verbale di contestazione trovavasi ricoverato all’ospedale oppure è uno di quei quattro amici che si sono alternati alla guida da Milano a Palermo e pertanto denuncia il proprietario del veicolo ex art. 76 DPR n° 445/2000 (false attestazioni). E quid juris se il conducente indicato dal proprietario ne indica un altro e così via fino all’infinito con una serie di ulteriori contestazioni e denunce per false attestazioni?
Ad maiora!

Il Presidente del Tri.Di.Pu.Di.
Dr. Calogero Sanfilippo